LA STORIA DEL FEDERALISMO
I nostri riferimenti culturali ci impongono un breve excursus storico: la definizione delle origini ideologiche consente di delineare ancora più il percorso già intrapreso.
Il programma di redigere la vicenda storica del federalismo, comporta evidentemente un’opera di riduzione. Intendendo con questo termine non una mera semplificazione ma una contrazione dell’argomento trattato per renderlo più divulgativo ed ampio. Pertanto la riduzione dell’argomento affrontato comporta l’individuazione di un filone culturale che dalla sua nascita è pervenuto con chiarezza ai nostri giorni.
Omissioni o citazioni di alcuni pensatori, importanti per la nostra cultura, sono consentite.
Il federalismo nasce nel 1787, con la Costituzione degli Stati Uniti d'America.
La Carta di Philadelphia applica un concetto già germinato in Europa, infatti una sorta di federalismo era presente nell'antichità e durante il Medioevo: la presenza di una pluralità di poteri, posti in modo gerarchico (Impero, Chiesa, regni e principati, città autonome, ecc.), poteva costituire, in qualche modo un federalismo ante litteram.
Il federalismo moderno è invece strettamente connesso con l'entità "stato". Lo stato moderno, concentrando su di sè tutti i poteri, diventa un presidio per le libertà individuali, in quanto spazza via i vecchi istituti medievali che limitavano la libertà dell'individuo ed inoltre, sancisce, in modo più o meno esplicito, i diritti fondamentali dello stesso. Per la salvaguardia di questi, è quindi necessaria una distribuzione del potere a più enti. Il federalismo nasce, dunque, in difesa delle libertà individuali per raggiungere meglio l'unità tra diverse comunità.
In ogni caso il motivo ultimo è sempre quello di rispettare le attese dell'individuo.
Il sistema americano rappresenta l'esempio migliore di stato federale costruito per attuare i valori del modello costituzionale liberale. In seguito si svilupparono anche altri stati federali liberali: la Svizzera, con la Costituzione del 1874, il Canada, l'Australia e la Germania del Secondo Reich. Quest’ultima, però, rappresentava un caso un po' atipico, con la sostanziale supremazia della Prussia sugli altri Stati.
D’altronde, non esiste un modello univoco di federalismo, anzi, si può dire che esistono tanti sistemi federali quanti sono gli Stati federali. Negli Stati Uniti il tentativo del governo di intervenire con più forza in campo economico a fini redistributivi, comportò un lungo braccio di ferro con la Corte Suprema, custode della tradizionale interpretazione della Costituzione, che terminò solo negli anni Trenta dell’ottocento, in pieno New Deal, dopo aver introdotto nuovi emendamenti alla Costituzione.
A seguito di questa svolta, il sistema federale americano si sbilanciò a favore del governo di Washington, stato centrale, che da quella data poteva disciplinare tutti i rapporti d’ interesse collettiva nazionale. Nell'applicazione vera e propria, però, il Congresso è stato molto prudente, lasciando ai cinquanta stati dell'Unione vasti campi d'intervento su cui avrebbe potuto imporre la sua linea:
con la Costituzione americana nasce il primo stato federale.
A spingere i padri fondatori a creare uno stato federale è stata certamente l'idea che solo l'unione poteva fare la forza. Il federalismo americano prevede uno stato centrale con prerogative assai limitate, vale a dire quelle inerenti la politica di difesa e la politica estera. In campo economico, lo stato federale poteva regolamentare il commercio tra gli stati e imporre i tributi, ma sostanzialmente l'ingerenza negli affari degli stati era minima. Era, insomma, garantita al massimo l'autonomia della società civile.
Il federalismo non è collegato ad alcun concetto teorico pre-definito, un tentativo di teorizzazione è stato fatto solo nel XIX secolo, anche se la tendenza pacifista e cosmopolitica dell’illuminismo ebbe un ruolo fondamentale nella genesi del federalismo moderno: ad un’unione di stati tale da superrare le debolezze e le rivalità delle singole formazioni stati, pensarono Montesquieu, Rousseau e Kant.
La prima dottrina organica fu elaborata da Madison, Hamilton e Jay, con la raccolta di scritti "The Federalist", pubblicata nel 1788, In esso vi si trovano accenti liberali, egualitari e pacifisti. Si sviluppò un pensiero internazional-federalista: la creazione delle Nazioni Unite alimentò l'utopia di un idilliaco universo abitato da popoli che vanno d'amore e d'accordo. La realtà, quella che vede il nostro pianeta diviso in un'infinità di popoli, culture, valori e sistemi istituzionali, è ben diversa.
Meno utopistico è il movimento europeista, l'idea di un'unione europea fu già sviluppata dal Cattaneo nel XIX secolo.
Ma, seppur in modo diverso, anche Mazzini e Proudhon possono considerarsi degli europeisti della prima ora. L'idea della federazione europea ebbe uno stimolo considerevole dopo le due guerre mondiali. Ancora una volta il federalismo venne visto come soluzione pacificatrice, per evitare ulteriori massacri tra i popoli del Vecchio Continente.
Pierre Joseph Proudon, nel testo Del principio federativo definisce "...immaginata per rendere conto senza ricorrere al diritto divino, all'autorità paterna o alla necessità sociale, della formazione dello Stato e dei rapporti fra il governo e gli individui. Questa teoria, mutuata dai Calvinisti, costituiva nel 1746 un appannaggio della legge di natura e della religione. Nel sistema federativo, il contratto sociale è più di una finzione, è un patto positivo, effettivo, che è stato realmente proposto, discusso, votato e adottato e che si modifica regolarmente secondo la volontà dei contraenti. Fra il contratto federativo e quello di Rousseau e del 93, c'è tutta la distanza che passa fra la realtà e l'ipotesi.”
Egli considerò fondamentali due princìpi connessi, opposti ed irriducibili, su cui riposa ogni ordine politico: Autorità e Libertà. La Legge è come uno "statuto arbitrale della volontà umana" ed in essa indicò la forza in grado di mantenere in equilibrio i due princìpi. L'ordine politico per lo studioso si fonda su due principi contrari, l'AUTORITA', e la libertà, il primo iniziatore e il secondo determinatore con corollario la ragione libera, la fede che induce all'obbedienza.
Ne consegue che in ogni società, anche la più autoritaria, una parte è necessariamente riservata alla libertà; parimenti in ogni società, anche la più liberale, una parte è destinata all'autorità. Questa condizione è assoluta; nessun sistema politico può sottrarsi ad essa. A dispetto della ragione il cui sforzo tende incessantemente a risolvere la diversità nell'unità, i due principi rimangono a confronto e sempre in opposizione. Dalla loro tendenza contraria ed inevitabile e dalle loro reciproche reazioni, risulta la dinamica della politica.
In questo consiste tutta la scienza costituzionale, che riassume in tre proposte:
1° Formare dei gruppi di media dimensione, rispettivamente sovrani ed unirli con patto di federazione;
2° Organizzare in ogni Stato federato il governo secondo il principio di separazione degli organi;- voglio dire: separare nel potere tutto ciò che può essere separato; definire tutto ciò che potrà essere definito, distribuire fra gli organi o funzionari diversi tutto ciò che sarà stato separato e definito; non lasciare nulla di indiviso; dotare la pubblica amministrazione di tutte le condizioni di pubblicizzazione e di controllo;
3° Invece di assorbire gli Stati federati o le autorità provinciali e municipali in un'unica autorità centrale, ridurre le attribuzioni di questa ad un semplice ruolo di iniziativa generale, di mutua garanzia e sorveglianza, in cui i decreti non siano eseguiti che con il visto dei governi federati e per mezzo di funzionari ai loro ordini, così come nella monarchia costituzionale, dove ogni decreto emanato dal re , per essere eseguito, deve essere controfirmato da un ministro.
“Il governo di un paese, non deve essere diviso solo fra sette o otto eletti usciti da una maggioranza parlamentare, e criticati da una minoranza di opposizione, ma anche fra le province ed i comuni; senza di ciò la vita politica, trascura la periferia per il centro, ed il marasma invade la nazione divenuta idrocefala. Il sistema federale è applicabile a tutte le nazioni ed in tutte le epoche, poiché l'umanità è progressiva in ogni sua generazione ed in tutte le sue razze, e la politica di federazione, che è la politica del progresso per eccellenza, consiste nel governare ogni popolazione, al momento opportuno , secondo un regime di autorità e di centralizzazione decrescenti, corrispondente alla sua mentalità ed ai suoi costumi”.(Proudhon)
In Italia il dibattito sul federalismo fu particolarmente vivace, in contrapposizione all'idea centralista che si sarebbe realizzata con l'Unità d'Italia, durante il Risorgimento si svilupparono ben tre correnti federaliste. La prima fu quella neoguelfa del Gioberti, che in contrapposizione alle teorie mazziniane vagheggiava una soluzione federalista del problema italiano che aveva nel Papato il potere centrale. L'illusione di una Chiesa rinnovata e riformatrice durò poco e quando Pio IX prese posizioni reazionarie, Gioberti abbandonò il neoguelfismo e il federalismo, per una politica unitaria.
Al velleitario federalismo del Gioberti, si contrappose quello democratico del Cattaneo, mentre di minor peso fu il federalismo repubblicano rivoluzionario di Giuseppe Ferrari.
I movimenti repubblicani, divisi tra federalisti e mazziniani, finirono sconfitti dal realismo di Cavour. E di federalismo, nella penisola italiana, non se ne sarebbe parlato più fino all'Assemblea Costituente, quando però prevalse l'idea regionalista.
Carlo Cattaneo è il fondatore del federalismo moderno, che definisce nel 1851, come “la teorica della libertà, l’una possibil teorica della libertà”.
Spirito libero, l'uomo politico milanese proponeva un programma di riforme, inteso ad assicurare al Lombardo-Veneto l'indipendenza nell'ambito di una federazione di popoli soggetti all'Austria. In seguito elaborò l'idea di una federazione italiana per poi sviluppare con estrema lungimiranza il concetto degli Stati Uniti d'Europa.
Legato a ideali repubblicani, democratici e federalisti, fu un uomo controcorrente che divenne, allora come oggi, un punto di riferimento per i federalisti.
Carlo Cattaneo riteneva che un partito federalista non avrebbe creato il federalismo dall'Italia, perché il federalismo non poteva essere il programma di un solo partito politico, ma avrebbe dovuto essere il comune sentire della gente.
Il federalismo deve partire dal basso, da un patto del popolo, in modo che il Comune come istituzione diviene un fatto naturale, cosi' come la famiglia: è quindi naturale pensare che la cellula fondamentale di governo, la' dove il singolo individuo puo' esprimere liberamente il proprio essere e' il Comune ed ivi e' dunque giusto che tutto venga deciso e fatto.
Il suo federalismo appare , almeno per certi aspetti , notevolmente diverso rispetto al dibattito politico-ideologico che aveva animato ,fin dagli ultimi anni del XVIII secolo, non pochi protagonisti e pensatori, impegnati a progettare il futuro della penisola italiana, allora divisa in stati e staterelli, governati anche da stranieri. Già nella prima metà dell’800, in aperta polemica con il programma degli “unitari” non erano mancate precise proposte di tipo “federale”, o meglio “confederale”: da una parte, per esempio, con Vincenzo Gioberti e il suo progetto di “neoguelfismo”, che immaginava di poter mettere il Papa Pio IX alla testa di una confederazione degli Stati italiani; dall’altra, con Cesare Balbo, o Luigi Torelli, o Massimo Durando, che volevano raggiungere l’indipendenza attraverso un federalismo nazionale moderato, di cui la monarchia avrebbe dovuto costituire l’elemento aggregante e unificatore.
Prima del ’48 Cattaneo si era dichiarato apertamente ostile a ogni forma di potere centralizzato, ma l’idea di dare un ordine federalistico all’Italia gli si precisa solo dopo il fallimento dell’insurrezione lombarda.
“Io non ho sperato mai nella nuda unità – scriverà ancora nel 1860 - per me la sola possibil forma d’unità tra liberi popoli è un patto federale. Il potere debb’esser limitato, e non può esser limitato se non dal potere”. Anzi in una lettera dell’ottobre 1851 a Giuseppe Ferrari, aveva insistito che “bisogna contrapporre la federazione alla fusione e non all’unità, e mostrare che un patto fra popoli liberi è la sola via che può avviarli alla concordia e all’unità; ma ogni fusione conduce al divorzio, all’odio”.
Così, mentre la gran maggioranza dei suoi contemporanei sembrava accontentarsi nella conquista di traguardi politici, Cattaneo - fedele alla lezione di Romagnosi, suo venerato maestro – non si stanca mai di osservare, come elemento fondamentale, quel processo di “incivilimento”, che non riguarda solo il cammino umano nel passato remoto e prossimo, ma coinvolge, influenza e determina, già al presente e nella prospettiva avvenire, l’intera vita, privata e pubblica, dei singoli individui, dei gruppi e delle società.
Appare qui uno degli aspetti più moderni, e più attuali, dell’impegnativa visione politico-istituzionale di Cattaneo, lo rende oggi così vicino a noi e ai nostri problemi, spesso ancora irrisolti. Infatti, Cattaneo non solo ritiene, molto realisticamente, che prima di tutto “uno Stato è una gente e una terra” ma rivela una notevole capacità di cogliere i pericoli insiti in ogni sistema statale di tipo unitario, perché avverte che l’unità finisce spesso per condurre all’accentramento governativo e al prevalere di “caste” burocratiche: con la conseguenza di soffocare i benefici effetti delle autonomie locali, di impedire il soffio vivificatore della libera iniziativa, e di mettere capo, il più delle volte, a un unico potere autoritario .
“Quando i mazziniani fanno evviva all’unità – scriveva sul finire del 1856 – bisogna rispondere facendo evviva agli Stati Uniti d’Italia”; e specificava, ricorrendo a un’esperienza concreta, che “in questa formula, la sola che sia compatibile colla libertà e coll’Italia, vi è la teoria e vi è la pratica: tutte le questioni possibili vi stanno già sciolte con un gigantesco esempio, di cui la Svizzera offre il compendio ad uso interno di qualsiasi provincia italiana che voglia avere in seno la pace e la libertà”.
Cattaneo modella tutta la sua “filosofia civile” sull’idea-forza del progresso, o meglio, del cammino verso il progresso. Far politica per lui comportava anzitutto disporre di un “sapere” dove confluivano le molteplici conoscenze della storia e dell’economia, della statistica e del diritto, della geografia e della cultura tecno-scientifica, ecc., e di conseguenza operare in senso riformatore, tenendo conto di quanto di positivo, e di valido, avevano già realizzato altri popoli e altri paesi. Infatti appena delinea i caratteri distintivi dell’organizzazione politica delle società secondo i princìpi del federalismo, non propone modelli astratti ma fa esplicito, e costante, richiamo a precise realtà contemporanee.
Così, a livello più propriamente storico-esplicativo, Cattaneo è fra i pochissimi a insistere nel mettere in chiaro come con la nascita della federazione nord-americana, a seguito della carta costituzionale approvata alla Convenzione di Filadelfia del 1787, gli Stati Uniti si sono dati la struttura di un vero e proprio Stato federale, rispetto alla precedente, debole forma di semplice confederazione fra le tredici ex-colonie, proclamatesi indipendenti .
Inoltre, anche a livello di esperienza diretta, Cattaneo si richiama alla realtà della Svizzera, per illustrare e spiegare quanto ha significato – durante la prima metà dell’800 - il difficile trapasso da una generica dimensione confederale a un ordinamento federale, reso possibile dopo la sconfitta separatista del Sunderbund e l’entrata in vigore della nuova costituzione del 1848, che pur ispirandosi al modello statunitense ha avuto l’accortezza di saper adattare quel tipo di federalismo d’oltre Oceano al particolare patrimonio dell’ambiente sociale e della storia plurisecolare dei vari Cantoni, conservando, insieme all’antica denominazione di “Confederazione Elvetica”, alcune caratteristiche forme di democrazia diretta, di referendum, ecc.
Per Cattaneo il federalismo non deve diventare solo il modo più efficace di esercizio del potere, al fine di evitare ogni vincolo oppressivo (si chiami dominazione straniera o tirannide del governo centrale), ma acquista il valore di una vera e propria “teorica della libertà”, .
Ribadendo la differenza rispetto alle confederazioni, che storicamente sono sempre nate e vissute solo per volontà degli Stati perchè la loro legittimazione scende “dall’alto”, da parte di chi detiene momentaneamente il potere , definisce con chiarezza come ogni sistema federale nasce “dal basso”, e quindi diventa autenticamente democratico, perché ha come proprio atto costitutivo la volontà di tutti i cittadini, che partecipano della sovranità popolare, cui si aggiunge la volontà dei singoli Stati-membri, dichiarata e sancita in un apposito
“patto”. Patto, che secondo la suggestiva immagine cattaneana serve a accomunare nella “mutua tutela d’un congresso nazionale” le istanze e i diritti di tutte le parti:viene stabilita una precisa ripartizione di competenze fra lo Stato federale che rappresenta il necessario momento unificante in materia di politica estera, di difesa, di politica monetaria, e i singoli stati federati, ai quali sono riservate tutte le materie più attinenti alle esigenze locali: dalla politica fiscale e tributaria al diritto di famiglia, dalle questioni scolastiche alla normativa delle comunicazioni e del traffico, ecc.
La conquista, l’esercizio e la garanzia della libertà hanno costituito per lui un princìpio costante e un valore decisivo “ la libertà va difesa tenendovi sopra le mani”. E’ lo stesso Cattaneo a darcene più di una testimonianza: “Meglio vivere amici in dieci case diverse, che vivere discordi in una sola” precisava infatti nel ’64, allo scopo di valorizzare così il ruolo propulsore delle libertà locali, le caratteristiche dei piccoli comuni, i bisogni delle “singole parti viventi della patria grande” “Per me – ribadiva nel ’60 – la sola possibil forma d’unità tra popoli liberi è un patto federale. Il potere debb’essere limitato; e non può essere limitato se non dal potere”.(rapporto autorità-liberà di Proudhon)
“La mia formula è Stati Uniti, se volete Regni Uniti; l’ira di molti capi che fa però una bestia sola. Per essere amici bisogna che ognuno resti padrone in casa sua”. E specifica che “I siciliani potranno fare un gran beneficio all’Italia, dando all’annessione il vero senso della parola che non è assorbimento”, precisando, caso mai qualcuno non avesse capito bene: “Congresso comune per le cose comuni: e ogni fratello padrone a casa sua” , “il fatto è che la federazione non è intesa, perché mai ebbe quasi propaganda. Non v’è religione senza predicatore”.
La soluzione federalista cattaneana finisce così per promuovere in una misura, democratica una continua, e feconda, collaborazione fra i componenti dell’intero corpo sociale sulla base di un attivo e reciproco impegno di solidarietà, compendiato dallo stesso Cattaneo, fin dalla primavera del 1852, in questa formula, tanto breve quanto efficace: “libertà è repubblica, e repubblica è pluralità, ossia federazione”.
Cattaneo auspica che il federalismo si riesca a estenderlo come soluzione politica valida anche per l’Europa e per il più vasto quadro mondiale. Non è un’ipotesi utopistica, la sua; è piuttosto il convincimento che solo così si sarebbero potuti allontanare gli spettri di nuove conquiste o di ulteriori avventure belliche: “Quel giorno che l’Europa potesse, per consenso repentino, farsi tutta simile alla Svizzera, tutta simile all’America, quel giorno ch’ella si scrivesse in fronte Stati Uniti d’Europa, non solo ella si trarrebbe da questa luttuosa necessità delle battaglie, degli incendi e dei patiboli, ma ella avrebbe lucrato cento mila milioni”.
Il dibattito federalista continua muovendosi in tutta Europa e in Italia contro il centralismo statale, definito prima dal regno sabautico e poi dal fascismo: il contributo di Gaetano Salvemini con il movimento “Giustizia e Libertà” e “Liberer et Federer “ animato dal veneto Silvio Trentin, attivo nelle file della Resistenza francese, sono fondamentali.
Trentin elaborò anche un disegno costituzionale per una repubblica federale da applicarsi all’Italia e alla Francia, in cui si cercava di contemperare il controllo pubblico dell’economia con il rispetto delle "autonomie primarie", costituite dalle formazioni "naturali" del vivere sociale,famiglia, comune, consigli di fabbrica, cooperative agricole, che erano depositarie dell’autogestione e dell’autocontrollo dell’economia.
L’opera di Trentin è imperniata sul federalismo infranazionale, sulla rifondazione delle basi della società attraverso il rifiuto dello stato centralistico e autoritario incarnato dal fascismo ed il compimento di un processo rivoluzionario federalista interno ai vari stati. Trentin accetta il federalismo di Proudhon come premessa filosofica, concorda con il suo vedere la dinamica sociale come un equilibrio di forze opposte, a volte irriducibili antagoniste, però ne individua i punti deboli proudhoniani sul piano della consistenza pratica. In Stato-Nazione-Federalismo, afferma il principio dello stato universale come unico modo per garantire l’unità del diritto, richiamare l’attenzione sulla divisione dell’Europa in stati sovrani e sulla necessità di superare la divisione esistente tra le economie nazionali.
Bisognerà però attendere il 1941 perché l’idea federalista trovi una sua definizione teoricamente coerente e un movimento espressamente ispirato ad essa.
Nella primavera di quell’anno infatti comparve il documento fondamentale del federalismo europeo, il Manifesto di Ventotene, scritto da Ernesto Rossi (1897-1967) e Altiero Spinelli (1907-1986), due antifascisti confinati dal fascismo sull’isola di Ventotene, che avevano già scontato lunghe pene detentive (Spinelli venne arrestato nel 1927, Rossi nel 1930).
Alla base del documento è una riflessione sui limiti dell’organizzazione dell’Europa in stati nazionali sovrani e sulle conseguenze del protezionismo economico tra gli stati. “la linea di divisione fra partiti progressisti e partiti reazionari cade ormai lungo la sostanziale e nuovissima linea che separa quelli che concepiscono come fine essenziale della lotta quello antico, cioè la conquista del potere politico nazionale, e quelli che vedranno come compito centrale la creazione di un solido Stato internazionale” (manifesto di Ventotene 1941).
Il documento scritto nella primavera del 1941, segnava un cambiamento notevole nel panorama del pensiero europeista in Europa: per la prima volta l’idea della federazione europea diveniva un valore prioritario della lotta politica, non un elemento accessorio di visioni politiche più generali. Solo attraverso l’abbattimento del mito della sovranità statale assoluta poteva essere possibile raggiungere la giustizia sociale e la libertà politica.
Non mancavano nel documento elementi di riforma anche sul piano della struttura interna dello stato, ma veniva postulato che solo il federalismo su scala europea avrebbe permesso una reale riforma degli stati nazionali, con l’abbattimento dei legami che si instauravano tra grande capitale, caste militari, burocrazie statali.
La reazione al documento tra le file dell’antifascismo italiano fu tiepida: praticamente tali idee trovarono un’accoglienza stabile solo all’interno del Partito d’Azione,in quegli stessi anni, dal confino, alcuni giovani antifascisti redigono il "manifesto di Ventotene", primo esempio italiano di letteratura federalistica.
il Manifesto di Ventotene definisce la riorganizzazione dell’Europa su basi federali sovranazionali per salvare i valori della cultura e società occidentali.
Altiero Spinelli, uno dei padri fondatori e delle figure-chiave di quella tradizione, affermò: "L'architettura europea che abbiamo messo in piedi - sosteneva Spinelli alla vigilia dell'Atto Unico - è stata il prodotto della tensione fra la visione radicale dei federalisti e l'approccio pragmatico degli uomini di Stato. Senza questa tensione non si sarebbe ottenuto nulla: la visione dei federalisti sarebbe rimasta un'utopia, il pragmatismo sostanzialmente conservatore degli uomini di Stato non avrebbe condotto da nessuna parte".
Il suo principio è uno sbocco federale, uno sbocco auspicato da alcuni ma temuto da altri, e che in fondo consisterebbe in un trasferimento a livello europeo - dell'Unione Europea - delle competenze e delle attribuzioni degli Stati nazionali.
Il contributo di Spinelli è con intensità, atemporale ed ha chiari e diretti riferimenti al pensiero di Cattaneo: “Se non si attribuisce alcun valore alla libertà, cioè ad un tipo di società in cui gli individui non siano strumenti di forze che li trascendono, ma autonomi centri di vita, se non si attribuisce valore alla giustizia, cioè ad un tipo di società in cui la libertà non sia riservata a piccole minoranze privilegiate, ma sia un bene effettivo, e non solo formale, di cui dispongano strati sempre più vasti – non vale la pena di occuparsi della salvezza della nostra civiltà” .
Nell’agosto del 1943 viene fondato il Movimento federalista europeo e si attivò subito nella clandestinità per ricercare un consenso non solo all’interno dell’antifascismo italiano, ma anche su scala europea. Spinelli e Rossi, rifugiatisi in Svizzera, entrarono in contatto con Ignazio Silone, che animava il centro Estero del Partito socialista italiano a Zurigo pubblicando il periodico "L’Avvenire dei Lavoratori"; lo stesso periodico ospitò numerosi interventi di Rossi e Spinelli, pubblicando anche documenti del federalismo di matrice anglosassone .
numerosi rapporti con i movimenti di liberazione di altri paesi, francese in particolare, rapporti che portarono alla nascita di un Comité Français pur la Fédération européenne (Cffe) attivo a Lione, e ad una "Dichiarazione federalista degli antifascisti europei" che venne redatta a Ginevra nella primavera del ’44, con la partecipazione di resistenti norvegesi, olandesi, francesi, jugoslavi, federalisti svizzeri e ovviamente gli italiani del Mfe. Tendenze federaliste comparvero inoltre in quasi tutti i paesi europei occupati, dalla Polonia alla Francia. Nel marzo del ’45 si ebbe a Parigi una prima riunione di esponenti del movimento federalista internazionale, con la partecipazione di Albert Camus, Emmanuel Mounier e Altiero Spinelli.
Ma bisognava attendere la fine della guerra perché le varie tendenze federaliste avessero modo di riunirsi insieme nell’Unione europea dei Federalisti (Uef) fondata a Parigi nel dicembre 1946 e che tenne il suo primo congresso a Montreaux (Svizzera) nell’agosto ’47. Al suo interno, si definirono ben presto due tendenze: quella federalista "istituzionale" (detta anche "hamiltoniana", poiché si rifaceva al modello federale statunitense) e quella "federalista integrale" di derivazione proudhoniana.
Nell’ottobre del 1947 si svolge il primo convegno federalista con la presenza di relatori come Luigi Einaudi, Ignazio Silone, Ferruccio Parri,
Pietro Calamandrei, Gaetano Salvemini: questo evento ha un grande riferimento culturale, il Manifesto di Ventotene.
Dal dopoguerra proliferano, accanto ai federalisti europei nei vari paesi, movimenti federalisti che ponevano la priorità sull’applicazione del federalismo prima su scala nazionale. tra di essi va ricordata l’Afe
(Associazione Federalisti Europei) fondata da Piero Calamandrei e da Paride Baccarini, e il Mafe (Movimento Autonomista di Federazione Europea), fondato nel maggio del 1945 a Roma da Guglielmo Usellini.
E’ individuabile un filo rosso che va da Carlo CATTANEO a Gaetano SALVEMINI, da Luigi STURZO a Luigi EINAUDI, da Piero GOBETTI a Guido DORSO, : vedevano nell'autonomismo un rimedio all'inefficienza e al facile “avvicinamento” del potere centrale.